CARTA D’IDENTITÀ E FAMIGLIE OMOGENITORIALI
LA CASSAZIONE SANCISCE
L’USO DELLA DICITURA “GENITORE” PER TUTELARE IL DIRITTO ALL’IDENTITÀDEI MINORI
Con la sentenza n. 9216, depositata l’8 aprile 2025, la Prima Sezione Civile della Corte di
Cassazione ha confermato un principio fondamentale in materia di diritti dei minori e
riconoscimento delle diverse configurazioni familiari: nella carta d’identità elettronica (CIE)
rilasciata a un minore, la dicitura “padre” e “madre” deve essere sostituita da “genitore”
laddove ciò sia necessario per rispettare la reale conformazione giuridica e affettiva del nucleo
familiare.La questione trae origine da un caso specifico: un minore figlio naturale di una madre biologica e
adottivo della compagna di quest’ultima, riconosciuta giuridicamente come madre adottiva a
seguito di un’adozione ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), L. 184/1983. La compilazione del
documento di identità con la tradizionale distinzione “padre/madre” si era rivelata, de facto,
inadeguata e discriminatoria rispetto alla reale situazione familiare del minore, impedendo,
conseguentemente, anche il rilascio della CIE valida per l’espatrio. Il Ministero dell’Interno,
attenendosi al D.M. 31 gennaio 2019, aveva respinto la richiesta di utilizzare la dicitura “genitore”
in luogo di “padre” e “madre”. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano,
invero, riconosciuto l’illegittimità di tale impostazione, disponendo, conseguentemente, la
disapplicazione del decreto ministeriale summenzionato, poiché contrario alla normativa primaria e
ai principi costituzionali di eguaglianza e non discriminazione. La Corte di Cassazione ha, ora,
sostanzialmente confermato tale assunto, sancendo che l’adozione in casi particolari — già
riconosciuta come fonte piena di legami parentali dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.
79/2022 — attribuisce al minore il diritto di essere identificato nei documenti ufficiali in modo
conforme alla sua realtà giuridica. Imporre l’uso della sola dicitura “padre/madre” escluderebbe, di
fatto, alcune legittime configurazioni familiari riconosciute dall’ordinamento, con un effetto
discriminatorio inaccettabile.Peraltro, nella motivazione della sentenza de qua, la Suprema Corte ha rilevato come l’utilizzo di
termini neutri, quale “genitore”, non raffiguri una deroga, bensì una corretta applicazione del dettato
legislativo e amministrativo. La sentenza ribadisce infine un principio di rilievo più ampio: il
rispetto dei diritti del minore — sia sul piano affettivo che su quello giuridico e documentale —
deve prevalere su rigidità amministrative che non riflettono la pluralità dei modelli familiari oggi
riconosciuti dal nostro ordinamento.Con questa pronuncia, la Suprema Corte riafferma con chiarezza un principio fondamentale: il
diritto all’identità personale e familiare del minore non può essere sacrificato o compresso da
formule amministrative standardizzate che risultino inadeguate a rappresentarne la reale condizione
giuridica e affettiva dello stesso. La corretta indicazione dei legami genitoriali all’interno della
documentazione ufficiale, e in particolare nella carta d’identità elettronica, costituisce un aspetto
essenziale della tutela della persona, in quanto garantisce la coerenza tra l’identità riconosciuta
dall’ordinamento e la sua rappresentazione negli atti amministrativi. L’utilizzo della dizione neutra
“genitore” non si configura, dunque, come una scelta discrezionale o una deroga alla regola, bensì
come un adempimento necessario, diretto ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del
minore, in primis il diritto a non subire discriminazioni a causa della struttura della propria famiglia.Questa decisione si pone nel solco dei principi costituzionali di uguaglianza e pari dignità
sociale, nonché della normativa sovranazionale in materia di diritti dell’infanzia, e ribadisce
la centralità della persona minore di età quale titolare di diritti inviolabili, che l’ordinamento
è tenuto a riconoscere e tutelare in modo pieno ed effettivo.